
Il 10 Giugno 1924 Matteotti viene rapito e in seguito assassinato da un manipolo di fascisti. Era pomeriggio. Verso le 16:15 Giacomo Matteotti esce di casa a piedi. Giacomo Matteotti si avvia verso Montecitorio, ignaro che una macchina lo attende, ferma. A bordo, un gruppo di squadristi fascisti, successivamente identificati come membri della polizia politica: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Questi nomi, legati a doppio filo alla violenza squadrista e di regime, sono ancora oggi simbolo di un’era di brutale repressione.
Matteotti tenta di difendersi, una lotta impari sia fuori che dentro l’abitacolo, dove viene spinto con la forza. È all’interno di quell’auto che la violenza fascista si manifesta in tutta la sua efferatezza: Giuseppe Viola lo pugnala all’ascella, infliggendogli un’agonia che si protrarrà per diverse ore, fino alla morte. Un’esecuzione premeditata, un atto di barbarie che svelò la vera natura del nascente regime.
Dopo aver girovagato per ore, i responsabili si dirigono verso la Macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano, a 25 km da Roma. Qui, con una fredda determinazione, seppelliscono il cadavere piegato in due, utilizzando il cric dell’auto come strumento per la sepoltura.
La ragione di questa brutale aggressione? Il discorso di Matteotti alla Camera dei Deputati del 30 maggio 1924, in cui aveva coraggiosamente denunciato le irregolarità e le violenze delle elezioni del 6 aprile. Un atto di denuncia che gli costò la vita, ma che lo consacrò a simbolo della resistenza antifascista.