"TORRI" UN FUMETTO IDEALE PER CHI VIVE LA PERIFERIA E LA SCUOLA - IL SECONDO E NUOVO FUMETTO DI MILITANZA GRAFICA DISPONIBILE DA NOVEMBRE 2024 🔴 AUTOPRODOTTO, SENZA PADRONI, PER IL MOVIMENTO.
Rodolfo Boschi
Rodolfo Boschi

Il 18 Aprile 1975 la polizia spara ed uccide il compagno, militante antifascista Rodolfo Boschi. Andiamo con ordine per cercare di comprendere al meglio i fatti che hanno portato ad un nuovo ed ennesimo omicidio di Stato.

Firenze pulsava di rabbia e di un profondo rigurgito antifascista. La notizia dell’assassinio di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi a Milano aveva scosso le coscienze, spingendo in strada una moltitudine di persone desiderose di ribadire con forza il rifiuto di ogni forma di fascismo, sistemica e non. Tra quella folla c’era anche Rodolfo Boschi, un giovane militante del PCI, animato da un profondo impegno militante. Fin dalla mattinata, gli studenti avevano manifestato con determinazione, con l’intenzione di raggiungere Piazza Indipendenza, simbolo della presenza del MSI in città. La risposta delle forze dell’ordine fu immediata e violenta, con cariche che cercarono di disperdere la protesta.

Nel pomeriggio, mentre il corteo principale si muoveva da Piazza Santa Croce, alcuni compagni, tra cui Rodolfo Boschi, si staccarono in piccoli gruppi, mossi dall’indignazione e dalla volontà di esprimere il loro dissenso proprio sotto la sede del MSI. Lì, ad attenderli, trovarono un muro di polizia e carabinieri pronti a difendere l’indifendibile. Gli scontri che ne seguirono furono feroci e si protrassero fino a tarda sera, in un clima di crescente tensione.

Il quartiere di San Lorenzo fu deliberatamente oscurato, staccando la corrente dell’illuminazione pubblica: una tattica inquietante per seminare terrore e per celare nell’ombra le azioni repressive poliziesche. Camionette fantasma sfrecciavano a fari spenti, mentre squadre speciali di picchiatori si accanivano con brutalità sui manifestanti isolati. Persino alcuni abitanti del quartiere, esasperati dalla violenza inaudita delle forze dell’ordine, scesero spontaneamente in strada per esprimere la loro indignazione. Quando ormai le lancette avevano superato le undici di sera, Francesco Panichi, un altro militante di Autonomia Operaia, si imbatté in una scena raccapricciante: nove agenti in borghese stavano massacrando un ragazzo inerme a terra. Senza esitazione, Francesco e altri compagni si lanciarono in suo soccorso, ma la risposta fu immediata e letale. Dal gruppo di aguzzini partì un primo colpo di pistola che andò, fortunatamente, a vuoto. Nella concitazione della fuga l’agente delle forze dell’ordine. Basile, estrasse l’arma, prese la mira con freddezza e sparò ripetutamente sul gruppo di militanti alle spalle. Rodolfo Boschi, compagno e militante, viene centrato alla nuca e cadde esanime sull’asfalto, vittima di una violenza di Stato. Anche Francesco Panichi rimase ferito: fu portato in ospedale d’urgenza ma si salverà.

Il giorno seguente, l’incredibile dichiarazione del Sostituto Procuratore, negò la possibilità di procedere contro gli agenti e contro Basile per “totale mancanza di indizi”. Come “assassinare una persona due volte”, direbbe qualcun*. Mentre la notizia dell’ennesimo omicidio per mano della polizia si diffondeva come un’onda di rabbia in tutta Italia, a Firenze il PCI locale era pronto a denunciare con forza l’accaduto. Ma i vertici del partito, con una decisione che ancora oggi grida vendetta, impedirono la diffusione di quei volantini di verità.Al loro posto, venne pubblicato un comunicato che rappresentava un vero e proprio tradimento della memoria di Rodolfo Boschi. In questa dichiarazione, si tentò di sminuire il suo essere “militante attivo”, quasi a volerlo colpevolizzare per essere stato presente sulla scena degli scontri. La responsabilità della sua morte venne cinicamente scaricata su fantomatici “teppisti” e “provocatori”, definendo Rodolfo Boschi un “sangue innocente di un giovane lavoratore”, come se la sua militanza fosse una colpa da nascondere.

Il PCI, in un delirio di ricostruzione faziosa, arrivò persino ad insinuare che Panichi fosse armato, auspicando che la polizia si concentrasse sulla repressione di questi presunti provocatori, nel tentativo di “impedire che si scavi un solco profondo tra i lavoratori fiorentini e le sue forze di polizia”. Un’operazione di depistaggio che alimentò una vera e propria campagna per l’arresto di Panichi, nonostante la stessa Questura avesse “riconosciuto l’assenza di elementi per procedere“. Vendere un compagno per quattro dobloni: probabile.

Il 20 aprile, Francesco Panichi uscito dall’ospedale si reca all’interrogatorio sulla morte del compagno Rodolfo Boschi: alla fine della giornata fu incredibilmente arrestato per tentato omicidio plurimo. Ma il tentativo di infangare la memoria di Rodolfo Boschi e di criminalizzare Francesco Panichi non passò inosservato. Numerose sezioni del PCI presero le distanze dalla linea ufficiale del partito, Lotta Continua pubblicò le smentite dei testimoni che i giornali avevano falsamente indicato come accusatori di Panichi e il comizio organizzato per diffondere il comunicato fu duramente contestato.

La storia di Rodolfo Boschi è una ferita ancora aperta, un monito contro la violenza di Stato e il cinismo fascistoide di chi, per oscuri interessi, tenta di riscrivere la verità, calpestando la dignità di un giovane antifascista che ha pagato con la vita il suo impegno per un mondo più giusto.

Ciao Rodolfo. Noi non dimentichiamo.


Cose scontate

Condividi dal basso