Era una mattina come tante nei campi di prigionia di Sabra e Shatila. Poi i colpi d’arma da fuoco. Infine il silenzio.
Dalle 6 del mattino del 16 Settembre 1982 fino al 18 Settembre furono massacrati, macellati, trivellati di colpi un numero imprecisato di profughi palestinesi rinchiusi nei campi di Sabra e Shatila. L’esercito israeliano e i fondamentalisti cristiani assassinarono per ripicca e per vendetta un numero imprecisato di uomini, donne, bambine e bambini, anziani. C’è chi dice circa 400. C’è chi parla di migliaia di vittime. Pioveva piombo in quei giorni. E sul selciato, ancora una volta, giacevano corpi senza vita, privati di una speranza. Questo crea la religione. Questo crea il capitale.
“Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitìo costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi.”
David Lamb, Los Angeles Times del 23 settembre 1982
“Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L’odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l’uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore”
Elaine Carey, Daily Mail del 20 settembre 1982
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