La militanza non è fare carriera
La militanza non è fare carriera

Concedere le proprie energie fisiche e mentali, per un percorso di militanza, non è in alcun modo associabile ad un mondo carrieristico e al “fare carriera”. Lungi da me porre il giudizio verso taluni o talune, dal momento in cui la mia riflessione si vuole basare su un complesso ragionamento che intreccia politica, filosofia ed antropologia. Una riflessione che spero possa creare tavoli di discussioni su una deriva, a volte generalizzata a volte localizzata, delle pratiche attive di militanza.

Parola derivante dal termine latino militaris (militare) o da di miles (milite) è per definizione:

Il partecipare in modo attivo e impegnato a un’organizzazione, un partito, un movimento e sim., svolgendo per essi una concreta opera di lotta e di propaganda.

Fonte

In questa semplice ma quanto chiara definizione del termine, si notano diverse parole chiave che possono aiutarci tutt* ad addentrarci in un difficile viaggio nelle profondità e nelle complessità della natura umana. Attiva, impegnata e concreta. Tre parole che non dovrebbero lasciare aperte nessun’altra strada interpretativa, ma a quanto pare la parola propaganda ha un peso specifico più denso, sbilanciando così tale definizione a suo vantaggio. Com’è potuto accadere? Se col termine propaganda entriamo per forza di cose nel mondo della comunicazione, non possiamo non citare i social media, principale strumento di diffusione d’informazione sia a carattere politico che non. L’ansiogena ricerca del tasso di conversione che sia esso un like, un cuoricino, un repost. La spasmodica commercializzazione di movimenti che, nascendo con le più nobili e militanti intenzioni, derivano in sistemi pseudo-merceologici scialacquando la natura stessa del moto a luogo politico e sociale. L’irruzione nel campo da gioco, di figure bizzarre come influencer, trendesetter, green influencer in una individualizzazione e personalizzazione della lotta. Tale fenomeno frammenta e spezza in una sorta di “teoria dell’atomo”, quel fronte militante che tanto ha vinto negli anni passati e che tanto ora soffre. È un cambiamento di natura, è un cambiamento di prospettiva.

Per spiegare meglio il cambiamento di natura e il cambiamento di prospettiva mi sento di citare il paradosso dell’ulivo.

L’ulivo, per come lo conosciamo noi tutt*, è un affascinante albero, dalla forma caratteristica e dal tronco grinzoso e coriaceo.

Pochi sanno, invece, che in natura l’albero d’ulivo se lasciato allo stato selvatico è molto più simile ad un cespuglio, caotico e ricco di ramificazioni. L’essere umano, cambia l’estetica e la funzione stessa del io ulivo, potandolo ed eliminando i “bubboni” (ogni dialetto al suo termine nda.), che non sono altro che escrescenze nei rami e nel tronco volte a generare ulteriori vie di ramificazioni portandolo appunto allo status di cespuglio.

L’essere umano trasforma, tagliandolo e potandolo, così l’elemento ulivo in uno splendido (per lui) albero da produzione industriale, per l’enogastronomia o anche solo per il suo ego.

Ma il fatto che l’ulivo sia stato trasformato in albero, per sfizio, non cambia il suo io cespuglio, che continuerà ad esistere, ed il fatto che l’essere umano ora lo veda come un elemento di profitto non cambia l’esistenza stessa della pianta come forma di vita in mutazione ed in movimento.

L’essere umano è il trandsetter, l’influencer, la carriera mentre la pianta d’ulivo è la militanza. Se per i primi l’attività è volta verso un’estetismo commerciale, dai sapori pop e dal retrogusto digitale, i secondi lottano non soltanto per restare quel io fatto di bubboni, imperfezioni e rami cespugliosi ma per riaffermare l’esistenza stessa di quel movimento verso lo stato delle cose a cui puntare: il cespuglio.

Ritorniamo tutt* cespugli selvaggi, senza padroni e fuori dalle logiche di mercato. Torniamo ad essere quella fitta, affascinante e coriacea rete di rami e di foglie e di frutti. Torniamo ad essere infestanti, coprenti, meravigliosi. La militanza è questo: quei cespugli ormai intrecciati, che dal basso nascono e che nel basso ci vogliono restare, generando sì una nuova estetica: una libertaria splendida estetica.

La militanza non è carriera.

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