Lode alla rivoluzione sgomberata.

Sei sbocciata qualche tempo fa, fra i rovi intrecciati di un bosco metropolitano. In quella piccola aiuola del centro sociale lassù, ti sei fatta spazio con la rabbia e con la voglia di cercare un raggio di sole. Sei sbocciata fuori stagione, ma a questo a te non importava perché in fondo il momento era quello: imperfettamente a tempo con quella rabbia di libertà che cullavi nel terriccio umido fatto di routine e sonni spezzati da svegli impostate sul cellulare. Una ogni 15 minuti. Si sa mai. Eri il fiore più bello, sai? Ho contato tutti i tuoi petali. Erano rosso fuoco, le venature violacee, profumavano di rivolta. Io mi sono sdraiato affianco a te per parlarti, per conoscere la tua storia lontana, per imparare a correre più veloce se necessari. Passano i treni, gli aerei, gli autobus a lunga percorrenza e noi ci salutavamo ogni giorno. “A domani” ci si diceva quando tornavo a casa, quando la notte calava. Poi in un giorno freddo, qualcosa si è fermato, interrotto. Quel flusso che dal tuo gambo portava energia ai petali singhiozzò fra un pianto e un silenzio distante migliaia di kilometri. Quella mattina qualcuno forzò il cancello che dava su quella strada nel quartiere industriale, entrò e con brutale violenza decise di strappare tutti quei fiori come te in quella piccola aiuola. Le persone fuori dalla cancellata urlavano, strattonavano, piangevano ma io non ero lì. Io ero lontano, costretto dai rovi, a stare a distanza e più mi dimenavo per liberarmi dalla loro stretta più ci rimanevo incastrato. Ti ho visto appassire, ti ho visto sgomberata, ti ho visto lanciare i tuoi petali in aria come a liberarli poco prima del inevitabile. 

Ora danzano nell’aria, con te.

Ora danzano in un caldo vento proveniente dal mare.

Ora danzano.

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